Fare volontariato in Hospice: gli step del percorso per formare i volontari
Il volontariato nelle cure palliative e negli Hospice presuppone un percorso di formazione articolato e dettagliato nello specifico Core curriculum della Società italiana di Cure palliative (SICP).
L’Associazione Amici dell’Hospice, che “arruola” volontari per le diverse attività all’interno dell’Hospice Kairós di Siracusa, ha a cuore la formazione dei propri volontari, affidata a psicologi professionisti e non solo da un punto di vista teorico e pratico (conoscenza dell’ambito in cui si opera, approccio al paziente ricoverato in Hospice e ai familiari). Ha altrettanto a cuore l’equilibrio interiore ed emotivo del volontario stesso che è la precondizione, innanzitutto, perché egli non nuoccia a se stesso e, parallelamente, perché possa costruire un rapporto di vicinanza e di fiducia con la persona malata e i suoi care givers.
Step 1 - Il colloquio motivazionale
Step 2 - Costituzione del gruppo e incontri formativi
Raggiunto un numero massimo di 10-15 persone, inizia la formazione vera e propria, gestita da uno psicologo professionista, che dura, complessivamente, circa un anno e mezzo. Nella prima fase, teorica e interattiva – della durata di circa sei mesi – si alternano le diverse figure professionali operanti in Hospice: operatori socio-sanitari, fisioterapisti, medici.
L’obiettivo di questa prima fase è inquadrare le cure palliative e descrivere il contesto in cui l’aspirante volontario andrà a operare, anche attraverso consigli di lettura e testi come, per esempio, La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj.
Nello specifico, durante questi incontri con cadenza quindicinale, l’aspirante volontario apprenderà:
- cosa sono le cure palliative;
- cosa dice la Legge 38 del 2010;
- cosa significa fare volontariato in Hospice e il core curriculum del volontario;
- cosa vuol dire stare accanto a una persona malata.
Comprenderà, inoltre, che:
- l’esigenza di fare volontariato è, essenzialmente, un bisogno interiore e un’esigenza personale;
- bisogna sospendere i giudizi, perché, se da una parte giudicare è umano e naturale, non tutti i pazienti sono uguali e ciascuno ha un proprio vissuto unico e complesso;
- l’approccio del volontario è sempre uguale a livello comportamentale, ma deve essere calibrato rispetto al singolo, alla persona che si ha davanti: unica è la persona e la relazione che si crea con essa, unica è la risonanza che l’altro ha dentro di noi e uniche sono le reazioni che suscita in noi;
- che c’è differenza tra simpatia ed empatia;
- gli spazi del paziente e dei familiari vanno sempre rispettati;
- il volontario deve essere attento osservatore e ascoltatore. Sentire è una cosa, ascoltare è un altra: significa non pensare subito alla risposta, ma dare spazio al silenzio.
Nel delicato contesto delle cure palliative è facile agire come il classico elefante dentro la cristalleria. La formazione permette agli aspiranti volontari, attraverso role playing e continuo confronto con lo psicologo di riferimento, di capire che non si è utili al paziente con l’intrattenimento, solo perché ci si convince che quello è il modo per rendersi utili. Le cure palliative implicano l’esserci e non il fare: esserci vuol dire, innanzitutto, capire di cosa ha veramente bisogno il paziente e non di cosa il volontario, se fosse al suo posto, avrebbe bisogno. Si tratta di un cambio di prospettiva necessario perché il rischio della proiezione è alto. A questo si può ovviare solo osservando con attenzione e praticando il silenzio e l’ascolto, da modulare sempre in base a chi si ha di fronte.